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In catasto crescono i ruderi Meno castelli e case rurali-Sole24ore

  • 27 Lug, 2016
Pubblicato in: Entrate e Riscossione
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Messa da parte la riforma del catasto- almeno per ora- le statistiche fotografano cambiamenti dello "zero virgola". Che però, proiettati sui 73,9 milioni di immobili censiti, si traducono in numeri tutt'altro che irrilevanti: così, il +0,6% registrato nel 2015, equivale a 371mila nuove unità immobiliari (o porzioni di unità) iscritte in catasto.

Un aumento che si spiega solo in parte con le nuove costruzioni, ancora lontane dai livelli pre­crisi, e su cui incidono anche altri fattori: frazionamenti di unità già censite, aggiornamenti successivi a ristrutturazioni edilizie, accatastamenti di immobili mai dichiarati in precedenza, accertamenti e correzioni di errori. I dati - aggiornati al 31 dicembre scorso- sono contenuti nella decima edizione annuale delle Statistiche catastali, pubblicata ieri dalle Entrate, e raccontano, per così dire in parallelo, le scelte dei proprietari e l'evoluzione della normativa fiscale e amministrativa. È vero che è cresciuto il numero di case (80mila unità in più rispetto al 2014, +0,2%), ma se si guarda come si sono mosse le diverse categorie catastali si nota che quasi tutto l'aumento si concentra nelle due classificazioni intermedie, la A/2e la A/3, che da sole costituiscono più del 70% dello stock residenziale. Per il resto, continuanoa diminuire le abitazioni iscritte come popolari (A/4), ultrapopolari (A/5) e rurali (A/6). Tutte categorie "povere" in termini di caratteristiche costruttive e dotazione di servizi, il cui numero si è molto ridotto negli ultimi anni, vuoi perché i proprietari le hanno ristrutturate aggiornando puntualmente il catasto, vuoi perché l'Agenzia ha costretto a mettersi in regola chi aveva già eseguito gli interventi di recupero senza adeguare la rendita. Insieme alle categorie più modeste, però, nel 2015 sono diminuite anche quelle identificate come "di lusso" ai fini della tassazione Imue Tasi: le abitazioni in A/1 (case signorili, ­0,9%), A/8 (ville, ­0,8%) e A/9 (castelli e palazzi, ­1,4%). Certo, in valore assoluto si tratta di numeri molto piccoli, perché tutte e tre queste categorie non arrivano a 74mila unità immobiliari, lo 0,2% del totale delle abitazioni. Ma la tendenzaè chiara, e andrebbe approfondita, vista la difficoltà- se non l'impossibilità - di accatastare "al ribasso" una casa di pregio che ha persoi suoi requisiti,a meno che non sia diventata un rudere. Insieme alle abitazioni, infatti, crescono le unità del gruppo F (+2,4%), in cui confluiscono gli immobili non produttivi di reddito, compresi i ruderi iscritti in F/2 (edifici collabenti). Una categoria, quest'ultima, che ha visto un grosso incremento dall'introduzione dell'Imu. Nel 2015 l'aumentoè stato del 3,9% (a 458mila unità), ma è allargando la prospettiva che si coglie il trend: ieri Confedilizia ha ricordato che rispetto al 2011 il dato segna +65 per cento. Numeri che secondo il presidente Giorgio Spaziani Testa includono sia gli immobili ridotti allo stato di ruderi per decisione dei singoli proprietari - non più in grado di far fronte a spese e imposte- sia quelli ridotti in pessimo stato dalla semplice mancanza delle risorse economiche necessarie a mantenerli. Bisognerà invece attendere le statistiche fiscali del 2016 per vedere l'effetto dell'esclusione dal computo della rendita degli impianti fissi - gli imbullonati - anche se il report delle Entrate preannuncia già una «profonda variazione», quanto meno a livello delle rendite catastali totali.

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