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Nei pagamenti alle imprese in ritardo un Comune su due- Sole 24ore

  • 14 Mar, 2016
Pubblicato in: Pagamenti
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Un Comune su due continua a non rispettare le regole sui pagamenti alle imprese.

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In pratica su 117 Comuni capoluoghi di provincia, quasi la metà (45 per l'esattezza) salda le fatture oltre i trenta giorni previsti dalla legge, mentre uno zoccolo duro di 12 enti locali addirittura resiste a qualsiasi operazione ­verità e non comunica nulla sui tempi di attesa per i pagamenti. A tre anni di distanza dall'operazione sblocca­debiti il quadro dei ritardi a cui vanno incontro le aziende fornitrici della Pa è ancora fosco. Certo le fatture più vecchie sono state per la maggior parte smaltite, soprattutto nel 2014 (con un appesantimento dei tempi di pagamento). Ma i dati 2015 dimostrano che il problema dei ritardati pagamenti, che spesso è la causa primaria di tanti fallimenti aziendali, non si è affatto esaurito e, anzi, continua anche con i nuovi contratti. «Il Sole 24 Ore» ha stilato la classifica dei ritardi di tutti i Comuni capoluogo di provincia basandosi su un dato ufficiale: l'indicatore annuale di tempestività dei pagamenti che, in base alle norme sulla trasparenza, ogni amministrazione deve calcolare in modo uniforme e pubblicare sul proprio sito, entro il 31 gennaio di ogni anno. Rispetto alla stessa classifica elaborata lo scorso anno, (si veda «Il Sole 24 Ore» del 20 aprile 2015), la situazione è migliorata. Nel 2014 infatti erano 61 i Comuni che pagavano oltre i 30 giorni previsti per legge dal decreto contro i ritardi nei pagamenti. Nel 2015 il numero è sceso a 45. E, più in generale, le realtà che sono migliorate (in verde nella tabella a fianco) sono 65, contro i 41 in peggioramento (in rosso). In 18 capoluoghi poi le imprese possono addirittura contare su pagamenti in anticipo rispetto alle scadenze le proprie fatture (Verona la più veloce). Ma nulla è cambiato sul fronte dell'opacità: anche quest'anno sono 12, esattamente come lo scorso anno, i Comuni che a più di 40 giorni dalla scadenza non hanno ancora reso nota la propria puntualità. Solo due sono ""recidivi"": si tratta di Aosta e Cosenza. Tutti, con questo ""trucchetto"" ottengono anche il paradossale beneficio di immagine di non figurare nell'elenco dei cattivi pagatori. Tra chi ­ correttamente ­ dichiara i tempi (anche se a volte con ritardo, persino nell'aggiornamento) le attese restano pesanti: il 48% infatti supera i 30 giorni in media. In testa all'elenco quest'anno c'è il comune di Benevento, passato dal secondo al primo posto dei ritardatari: un'impresa qui attende in media otto mesi ­ 244 giorni­ per vedersi riconosciute le spettanze (si veda l'articolo in basso). Non cambia molto a Potenza, che con i suoi 224 giorni di ritardo conquista il poco invi­diabile secondo posto, anche se può comunque contare su una forte riduzione (115 giorni in meno) rispetto al 2014. Seguono, distaccati, Pescara, Terni, Isernia e Ascoli Piceno. La black list dei cattivi pagatori comprende anche alcune città di primo piano: Roma (57,5 giorni), Reggio Calabria a quota 93, ma in forte recu­pero (si veda l'articolo in basso), Campobasso (87) e Perugia (74). Dietro a queste lentezze non c'è solo l'inefficienza della macchina burocratica o la crisi di liquidità degli enti: a volte, a rallentare la liquidazione contribuiscono i ritardi con cui vengono trasferiti i fondi ai Comuni, oppure i vincoli del patto di stabilità che, almeno prima della riforma 2016, impedivano di pagare i fornitori anche a chi aveva risorse in cassa.
Le sanzioni in arrivo L'indicatore di tempestività dei pagamenti non ha avuto finora vita facile. Previsto dal decreto trasparenza (Dlgs 33/2013) è stato rafforzato nel 2014, collegandolo a precise sanzioni. In pratica, tutti gli enti che nel 2014 mostravano un indice superiore ai 90 giorni si sono visti bloccare le assunzioni. Ma la Corte costituzionale ha spazzato via questa norma (si veda «Il Sole 24 Ore del 23 dicembre 2015») in senso retroattivo. Di fatto depotenziando lo strumento. Ora però le cose stanno di nuovo per cambiare. Uno dei decreti attuativi della riforma Madia, quello sulla trasparenza, introduce una nuova sanzione, stavolta pecuniaria. Chi dimentica di pubblicare sul sito «i dati sui pagamenti» rischia una ammenda che parte da 500 ma può arrivare fino a 10mila euro. Chissà se, almeno per la sanzione, il pagamento sarà più veloce.

 

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